Miss Sarajevo: Il libro. Intervista esclusiva con Bill Carter!
Già da qualche tempo stiamo seguendo da vicino la pubblicazione del libro “Miss Sarajevo", pubblicato in inglese nel 2004 con il titolo “Fools Rush In” ed ora in uscita in Italia il 15 giugno.
Nei giorni scorsi vi abbiamo proposto l’intervista a Maja Ajdin (vedi NEWS) che si è occupata della traduzione e della pubblicazione. Oggi, proprio grazie a Maja, vi presentiamo l’intervista in esclusiva con l'autore del libro, Bill Carter, in cui ci racconta del libro, della sua storia e dell’incontro con gli U2
Il costo è di 15 euro. Al momento le spese di spedizione sono gratuite!
Prima di lasciarvi all'intervista vi riportiamo alcuni brevi passaggi del libro...siamo certi che vi piaceranno:
"Bono mi chiese se avevo già deciso il titolo del film. Gli dissi che avevo una marea di titoli possibili ma non avevo ancora trovato quello giusto..."Ma non hai detto che c'era un concorso di bellezza per Miss Sarajevo durante la guerra?" mi chiese..."E' una metafora perfetta. Una Miss...può essere una donna. Oppure una città. Chiamalo Miss Sarajevo ed io ti scriverò una canzone"
Bill riguardo ad uno dei collegamenti via satellite con la band durante i concerti: "Non sarebbe stata la prima volta che l'avrei sentito, ma probabilmente è stata la dimostrazione più chiara e lampante della potenza "primitiva" della musica che può oltrepassare ogni confine, sia esso fisico, politico, linguistico od emozionale."
(foto design di Valentina Castellani)
Il tuo libro "Fools Rush In" sta per essere pubblicato in Italia. C'è grande attesa per questo libro, proprio qui, dove la tua collaborazione con Bono e gli U2 è iniziata. Potresti raccontarci alcuni dettagli interessanti di quei giorni? Come e quando hai deciso di raggiungere Sarajevo, conoscendo tutte le difficoltà che avresti dovuto affrontare? C'è stato un evento o qualcosa di particolare, qualcosa che ti ha portato nel bel mezzo della guerra, o era solo qualcosa che è cresciuto dentro di te lentamente?
Avevo 26 anni quando sono arrivato a Zagabria nel marzo 1993. Sapevo della guerra, ma onestamente non avevo idea di quello che avrei affrontato o che cosa avrei fatto una volta arrivato. Una volta a Spalato, ho trovato un vecchio amico di liceo che stava lavorando per International Rescue Committee, IRC, e grazie a lui sono stato in grado di trovare un modo per entrare a Sarajevo, con una organizzazione umanitaria chiamata The Serious Road Trip. Erano fuori dal radar ONG e vestiti da clown durante la consegna del cibo. Un pazzo, pazzo gruppo di ragazzi, ma con grandi cuori. Per rispondere all'altra parte della questione ... non avevo idea di che cosa era la guerra. Attraversando la Bosnia avevo percepito qualcosa di inquietante e pericoloso, ma non sapevo perché. Nel giro di due giorni mi avevano sparato addosso e vedevo la gente morire. I bambini che facevano a pezzi i nostri camion, in cerca di cibo e cose da rubare. È stata una pazzia.
Dire che ho avuto un motivo valido per entrare a Sarajevo nel tardo inverno del 1993 sarebbe sbagliato. Ciò che mi stava guidando come essere umano era la perdita della mia fidanzata, una persona che amavo teneramente. La sua morte due anni prima mi aveva mandato in una spirale emotiva che è difficile da descrivere. Il dolore che sentivo era travolgente e allo stesso tempo ho vissuto il mondo in un modo che non avrei mai immaginato. Dal momento della sua morte avevo già viaggiato molto e avevo già trascorso due anni in Asia, ma in quel momento vedevo il mondo attraverso l'occhio del dolore. Ho visto i più piccoli dettagli e ascoltato le conversazioni che al mio orecchio è parso di cogliere. Come un vampiro, con una ipersensibilità quanto a tatto, olfatto, udito, gusto e vista, ho potuto sentire tutto. E 'stata una strana sensazione e quando sono entrato in Sarajevo tutto ciò è diventato ancora più intenso. Pochi anni più tardi, mentre scrivevo il libro, ho realizzato come il mio dolore mi ha reso capace di vivere a Sarajevo durante un periodo molto buio della loro storia. La morte mi ha dato fastidio quando l'ho vista, ma in qualche modo ero emotivamente preparato. Mi trovai in situazioni che erano caotiche, e le vivevo come se fossero naturali. Il rovescio della medaglia è che sono stato anche in grado di ridere profondamente a Sarajevo. Mi sentivo liberato dal mio dolore, come se avessi attraversato quell'aria densa di dolore che aleggiava sulla città come una nebbia. Sono stato in grado di esistere nel presente e solo nel presente.
Sei rimasto per così tanto tempo a Sarajevo, una città dalla quale tutti volevano scappare. La tua permanenza a Sarajevo ti ha cambiato in qualche modo? C’è qualcosa di quella esperienza che ha cambiato il modo in cui vivi la tua vita oggi?
Sarajevo ha cambiato la mia vita per sempre. E’ stato il periodo più difficile della mia vita, ma anche il più bello. Ho incontrato persone che porterò con me fino al giorno in cui non ci sarò più. Sono come impresse nella mia anima. Vivo la mia vita in modo diverso. La apprezzo molto di più. Mi capita di ripensare ad un momento in particolare, di solito qualcosa di bello, e mi sento davvero fortunato di poter avere ricordi come quello. La parte difficile della guerra, che resterà sempre con me, non è l’orrore di quello che l’uomo è in grado di fare ad altri uomini. E’ piuttosto la vera e sincera umanità elevata al massimo livello. Sono la gentilezza, i semplici gesti di amore e di comunione che mi hanno sconvolto totalmente. Ho visto cose simili da altre parti, in tutte le guerre o in zone “martoriate” nel mondo. Nei momenti più difficili gli esseri umani possono diventare creature strabilianti, pieni di speranza e di amore e buona volontà. Il gesto di un uomo che sta morendo di fame che mi offre mezza scatoletta di tonno o divide con me un caffè. Cose come queste erano all’ordine del giorno a Sarajevo e mi riempiono di speranza.
Come descriveresti la gente di Sarajevo, tu che l’hai conosciuta in uno dei suoi momenti di maggiore fragilità?
E’ difficile parlare dei “Sarajevans” (la gente di Sarajevo). Erano persone surreali, divertenti, a volte con prospettive terribilmente negative ed oscure sul futuro della propria città. Durante la guerra erano così ma anche molto aperti e disponibili verso uno strano giovane californiano che vagava per le loro strade con una telecamera distribuendo cibo. Ho scoperto che gli abitanti di Sarajevo sono tra le persone più piacevoli con cui ho passato il mio tempo. La città è irresistibile e piena di vita, di arte e di humour. Penso che oggi ci sia una sensazione di incertezza in Bosnia circa il futuro del loro Paese, cosa che tende a sviluppare un senso di cittadinanza passiva. Perlomeno politicamente. Sanno di volere qualcosa di diverso ma non riescono ancora a capire bene cosa, non sono ancora in grado di lottare e battersi per quell’obiettivo.
Eri a Sarajevo, isolato dal resto del mondo, ma nonostante vivessi in circostanze molto difficili sei riuscito con determinazione a contattare gli U2, sapendo che questo avrebbe potuto influenzare l’opinione pubblica in Europa. Per quale motivo pensi che abbiano deciso di seguirti? E perché eri così sicuro che ti avrebbero dato ascolto?
Il rapporto con gli U2 è sempre stato qualcosa di misterioso sia per me che per loro. Un mistero meraviglioso. Per farvi capire meglio il tutto devo andare indietro di qualche anno. Prima di arrivare a Sarajevo ho vissuto per un anno a Trinidad, nelle Indie occidentali. Mi trovavo là per nascondermi dal mio mondo, dai miei problemi. Avevo tre musicassette (esatto, delle cassette!): 1. Weld di Neil Young 2. Magic and Loss di Lou Reed 3. Achtung Baby degli U2. Questi album erano la colonna Sonora della mia vita quando ero da solo con i miei pensieri. Ero totalmente preso dalla musica dell’isola ma quando ero solo le sonorità di quei 3 album in qualche modo riuscivano a rilassare la mia mente.
Torniamo adesso a Sarajevo dove parlavo e mi incontravo spesso con musicisti, attori e commedianti, tutta gente intelligente ed interessante. Erano frustrati perché la musica e la cultura non potevano arrivare in città. Scoprii che gli U2 erano in tour in Italia ed ho pensato “Perchè non contattarli. Che potrebbero dire al massimo, di no?”. E poi avevo questa sensazione dentro di me che veniva dal mio percorso personale tra amore e dolore. Non avevo nessun interesse personale, volevo solo ricollegare il mondo là fuori con la realtà ormai tagliata fuori da tutto di Sarajevo. Dopo aver incontrato Bono ed il resto della band quella notte a Verona loro decisero di seguire la mia idea di usare i concerti come un mezzo per collegare il mondo, o perlomeno il giovane pubblico europeo, con la città di Sarajevo.
Perchè hanno ascoltato e sposato la mia pazza idea? Penso per alcuni motivi. Primo, sono irlandesi e stare dalla parte dei più deboli è nel loro DNA. Mi hanno ascoltato mentre gli dicevo che c’era un posto in cui le persone erano in difficoltà e continuavano ad essere maltrattati nonostante già fossero a terra. Hanno sentito che c’erano persone che stavano commettendo grandissime ingiustizie e gli ho fatto i loro nomi. Secondo, credo che abbiano capito che non avevo altri interessi in tutto questo. Soldi, fama, etc etc…stavo facendo tutto questo per le ragioni che gli avevo spiegato. Una volta che ci siamo “sintonizzati” e trovati d’accordo su questo non c’era modo di fermare me o loro. Gli U2 hanno letteralmente portato un’idea molto semplice ad un livello difficile da comprendere e da raggiungere. Loro fanno le cose in grande. Pensano in grande ed hanno realizzato il mio sogno. Collegare il “mondo esterno” con Sarajevo, e cosa forse più importante hanno fatto conoscere alla gente quello che stava succedendo a Sarajevo. Non è stato facilissimo per loro trasmettere questi segnali via satellite durante i loro show, e si sono presi diverse responsabilità e critiche per averlo fatto ma col passare del tempo so che sono orgogliosi di averlo fatto. Può essere difficile con tutte le pressioni del momento capire se credere o meno in qualcosa. Loro mi hanno dato fiducia e non lo dimenticherò mai. Mi hanno incontrato una sera ed hanno rischiato molto per aiutarmi. Dalla nostra parte c’era il fatto che noi avevamo tutte le ragioni per fare quello che abbiamo fatto.
Che impressione hai avuto la prima volta che hai incontrato BONO? E riguardo gli altri membri della band?
Quando ho incontrato Bono la mia mente correva su due fronti. Primo, sapevo che stavo incontrando una rockstar, ma due, stavo pensando a come tornare a Sarajevo. Ma la cosa bella di quando incontri Bono è qualcosa che si sente raccontare da molte persone che lo hanno incontrato. Lui è presente. Ti guarda negli occhi ed è con te.
Conoscevo Bono e il resto della band da almeno 20 anni. Nel corso degli anni noi ci siamo incontrati più volte, abbiamo spesso discusso sulle nostre vite e cosi via. Loro sono delle rockstar, ma la cosa più importante è che sono persone veramente interessanti. E sono persone curiose. Ho incontrato molti musicisti, attori e personaggi famosi e non sono sempre interessanti o curiosi. Lo stile di vita può mascherare questo aspetto della mente e dell'anima. Ma la band, e coloro che li circondano, continuano ad essere degli uomini con cui condividiamo il viaggio su questo pianeta attraverso l'universo.
Penso che la musica sia la cosa che ha più senso per loro. Ma, se non fosse per la musica, non ho dubbi che sarebbero stati comunque degli uomini molto interessanti.
Pensi che sia ancora possibile fare cose di tale importanza, alla luce di quanto sta accadendo oggi nel mondo? Conosci qualcun altro che ha fatto o ancora sta facendo cose simili a quelle che hai fatto tu per il popolo bosniaco? E se si, perché il loro impegno è sconosciuto?
Non ne sono sicuro. Quello che gli U2 ed io abbiamo fatto con i satelliti era una cosa un po’ rivoluzionaria, che nessuno aveva fatto prima. Il telegiornale della sera trasmetteva molte immagini satellitari e interviste, ma nel 1993 il pubblico stava già cominciando a capire ciò che ora sappiamo per certo: che la “notizia” è la più grande fonte mondiale di intrattenimento. Quello che facevamo noi era diverso. Io volevo mostrare le persone reali, non i politici o l’esercito. Volevo dar voce alla Sarajevo nascosta al mondo e cercare di innescare una piccola fiamma di compassione nel pubblico degli show degli U2. Per risvegliare quella parte di noi che vuole saperne di più, raggiungere gli altri e aiutarli.
Penso che oggi il mondo sia diverso. Ciò che ho fatto con gli U2 si può fare oggi in tantissimi modi, con YouTube, l’I phone, Facebook e tutte le altre possibilità immediate di comunicare col mondo. Penso che la primavera araba sia stata un esempio di questo. Nello stesso tempo le informazioni sono così tante che è difficile per le persone filtrare le informazioni in un ciclo continuo di notizie durante l’intera giornata.
Io non conosco nessuno che ha fatto quello che ho fatto io, ma questo non significa che non ci sono persone che fanno cose straordinarie. Ci sono persone il cui lavoro passa inosservato, ma stanno facendo cose miracolose con la loro energia e il loro tempo. Aiutare le persone, risolvere i problemi, costruire, portare l'acqua nel deserto, insegnare alla gente come coltivare la terra, non per un anno, ma per tutta la vita…ci sono così tante persone che cercano di rendere il nostro mondo un posto migliore. E anche se ancora una volta in Siria stanno accadendo le stesse cose che accadevano in Bosnia 20 anni fa, e l'Iran è come una bomba ad orologeria, e in Europa c’è la crisi economica, io sono ottimista sul fatto che il bene vincerà il male nel lungo periodo. Devo esserlo. Ho due bambini piccoli e voglio che loro possano vedere nel mondo la bellezza che ho visto io. Pensare in un altro modo sarebbe una cosa veramente opprimente.
Nei giorni scorsi vi abbiamo proposto l’intervista a Maja Ajdin (vedi NEWS) che si è occupata della traduzione e della pubblicazione. Oggi, proprio grazie a Maja, vi presentiamo l’intervista in esclusiva con l'autore del libro, Bill Carter, in cui ci racconta del libro, della sua storia e dell’incontro con gli U2
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E' POSSIBILE ACQUISTARE IL LIBRO SUL SITO DELLA CASA EDITRICE SEGUENDO QUESTO LINK >>> Miss Sarajevo - Sibylla EditriceIl costo è di 15 euro. Al momento le spese di spedizione sono gratuite!
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Prima di lasciarvi all'intervista vi riportiamo alcuni brevi passaggi del libro...siamo certi che vi piaceranno:
"Bono mi chiese se avevo già deciso il titolo del film. Gli dissi che avevo una marea di titoli possibili ma non avevo ancora trovato quello giusto..."Ma non hai detto che c'era un concorso di bellezza per Miss Sarajevo durante la guerra?" mi chiese..."E' una metafora perfetta. Una Miss...può essere una donna. Oppure una città. Chiamalo Miss Sarajevo ed io ti scriverò una canzone"
Bill riguardo ad uno dei collegamenti via satellite con la band durante i concerti: "Non sarebbe stata la prima volta che l'avrei sentito, ma probabilmente è stata la dimostrazione più chiara e lampante della potenza "primitiva" della musica che può oltrepassare ogni confine, sia esso fisico, politico, linguistico od emozionale."
(foto design di Valentina Castellani)
Il tuo libro "Fools Rush In" sta per essere pubblicato in Italia. C'è grande attesa per questo libro, proprio qui, dove la tua collaborazione con Bono e gli U2 è iniziata. Potresti raccontarci alcuni dettagli interessanti di quei giorni? Come e quando hai deciso di raggiungere Sarajevo, conoscendo tutte le difficoltà che avresti dovuto affrontare? C'è stato un evento o qualcosa di particolare, qualcosa che ti ha portato nel bel mezzo della guerra, o era solo qualcosa che è cresciuto dentro di te lentamente?
Avevo 26 anni quando sono arrivato a Zagabria nel marzo 1993. Sapevo della guerra, ma onestamente non avevo idea di quello che avrei affrontato o che cosa avrei fatto una volta arrivato. Una volta a Spalato, ho trovato un vecchio amico di liceo che stava lavorando per International Rescue Committee, IRC, e grazie a lui sono stato in grado di trovare un modo per entrare a Sarajevo, con una organizzazione umanitaria chiamata The Serious Road Trip. Erano fuori dal radar ONG e vestiti da clown durante la consegna del cibo. Un pazzo, pazzo gruppo di ragazzi, ma con grandi cuori. Per rispondere all'altra parte della questione ... non avevo idea di che cosa era la guerra. Attraversando la Bosnia avevo percepito qualcosa di inquietante e pericoloso, ma non sapevo perché. Nel giro di due giorni mi avevano sparato addosso e vedevo la gente morire. I bambini che facevano a pezzi i nostri camion, in cerca di cibo e cose da rubare. È stata una pazzia.
Dire che ho avuto un motivo valido per entrare a Sarajevo nel tardo inverno del 1993 sarebbe sbagliato. Ciò che mi stava guidando come essere umano era la perdita della mia fidanzata, una persona che amavo teneramente. La sua morte due anni prima mi aveva mandato in una spirale emotiva che è difficile da descrivere. Il dolore che sentivo era travolgente e allo stesso tempo ho vissuto il mondo in un modo che non avrei mai immaginato. Dal momento della sua morte avevo già viaggiato molto e avevo già trascorso due anni in Asia, ma in quel momento vedevo il mondo attraverso l'occhio del dolore. Ho visto i più piccoli dettagli e ascoltato le conversazioni che al mio orecchio è parso di cogliere. Come un vampiro, con una ipersensibilità quanto a tatto, olfatto, udito, gusto e vista, ho potuto sentire tutto. E 'stata una strana sensazione e quando sono entrato in Sarajevo tutto ciò è diventato ancora più intenso. Pochi anni più tardi, mentre scrivevo il libro, ho realizzato come il mio dolore mi ha reso capace di vivere a Sarajevo durante un periodo molto buio della loro storia. La morte mi ha dato fastidio quando l'ho vista, ma in qualche modo ero emotivamente preparato. Mi trovai in situazioni che erano caotiche, e le vivevo come se fossero naturali. Il rovescio della medaglia è che sono stato anche in grado di ridere profondamente a Sarajevo. Mi sentivo liberato dal mio dolore, come se avessi attraversato quell'aria densa di dolore che aleggiava sulla città come una nebbia. Sono stato in grado di esistere nel presente e solo nel presente.
Sei rimasto per così tanto tempo a Sarajevo, una città dalla quale tutti volevano scappare. La tua permanenza a Sarajevo ti ha cambiato in qualche modo? C’è qualcosa di quella esperienza che ha cambiato il modo in cui vivi la tua vita oggi?
Sarajevo ha cambiato la mia vita per sempre. E’ stato il periodo più difficile della mia vita, ma anche il più bello. Ho incontrato persone che porterò con me fino al giorno in cui non ci sarò più. Sono come impresse nella mia anima. Vivo la mia vita in modo diverso. La apprezzo molto di più. Mi capita di ripensare ad un momento in particolare, di solito qualcosa di bello, e mi sento davvero fortunato di poter avere ricordi come quello. La parte difficile della guerra, che resterà sempre con me, non è l’orrore di quello che l’uomo è in grado di fare ad altri uomini. E’ piuttosto la vera e sincera umanità elevata al massimo livello. Sono la gentilezza, i semplici gesti di amore e di comunione che mi hanno sconvolto totalmente. Ho visto cose simili da altre parti, in tutte le guerre o in zone “martoriate” nel mondo. Nei momenti più difficili gli esseri umani possono diventare creature strabilianti, pieni di speranza e di amore e buona volontà. Il gesto di un uomo che sta morendo di fame che mi offre mezza scatoletta di tonno o divide con me un caffè. Cose come queste erano all’ordine del giorno a Sarajevo e mi riempiono di speranza.
Come descriveresti la gente di Sarajevo, tu che l’hai conosciuta in uno dei suoi momenti di maggiore fragilità?
E’ difficile parlare dei “Sarajevans” (la gente di Sarajevo). Erano persone surreali, divertenti, a volte con prospettive terribilmente negative ed oscure sul futuro della propria città. Durante la guerra erano così ma anche molto aperti e disponibili verso uno strano giovane californiano che vagava per le loro strade con una telecamera distribuendo cibo. Ho scoperto che gli abitanti di Sarajevo sono tra le persone più piacevoli con cui ho passato il mio tempo. La città è irresistibile e piena di vita, di arte e di humour. Penso che oggi ci sia una sensazione di incertezza in Bosnia circa il futuro del loro Paese, cosa che tende a sviluppare un senso di cittadinanza passiva. Perlomeno politicamente. Sanno di volere qualcosa di diverso ma non riescono ancora a capire bene cosa, non sono ancora in grado di lottare e battersi per quell’obiettivo.
Eri a Sarajevo, isolato dal resto del mondo, ma nonostante vivessi in circostanze molto difficili sei riuscito con determinazione a contattare gli U2, sapendo che questo avrebbe potuto influenzare l’opinione pubblica in Europa. Per quale motivo pensi che abbiano deciso di seguirti? E perché eri così sicuro che ti avrebbero dato ascolto?
Il rapporto con gli U2 è sempre stato qualcosa di misterioso sia per me che per loro. Un mistero meraviglioso. Per farvi capire meglio il tutto devo andare indietro di qualche anno. Prima di arrivare a Sarajevo ho vissuto per un anno a Trinidad, nelle Indie occidentali. Mi trovavo là per nascondermi dal mio mondo, dai miei problemi. Avevo tre musicassette (esatto, delle cassette!): 1. Weld di Neil Young 2. Magic and Loss di Lou Reed 3. Achtung Baby degli U2. Questi album erano la colonna Sonora della mia vita quando ero da solo con i miei pensieri. Ero totalmente preso dalla musica dell’isola ma quando ero solo le sonorità di quei 3 album in qualche modo riuscivano a rilassare la mia mente.
Torniamo adesso a Sarajevo dove parlavo e mi incontravo spesso con musicisti, attori e commedianti, tutta gente intelligente ed interessante. Erano frustrati perché la musica e la cultura non potevano arrivare in città. Scoprii che gli U2 erano in tour in Italia ed ho pensato “Perchè non contattarli. Che potrebbero dire al massimo, di no?”. E poi avevo questa sensazione dentro di me che veniva dal mio percorso personale tra amore e dolore. Non avevo nessun interesse personale, volevo solo ricollegare il mondo là fuori con la realtà ormai tagliata fuori da tutto di Sarajevo. Dopo aver incontrato Bono ed il resto della band quella notte a Verona loro decisero di seguire la mia idea di usare i concerti come un mezzo per collegare il mondo, o perlomeno il giovane pubblico europeo, con la città di Sarajevo.
Perchè hanno ascoltato e sposato la mia pazza idea? Penso per alcuni motivi. Primo, sono irlandesi e stare dalla parte dei più deboli è nel loro DNA. Mi hanno ascoltato mentre gli dicevo che c’era un posto in cui le persone erano in difficoltà e continuavano ad essere maltrattati nonostante già fossero a terra. Hanno sentito che c’erano persone che stavano commettendo grandissime ingiustizie e gli ho fatto i loro nomi. Secondo, credo che abbiano capito che non avevo altri interessi in tutto questo. Soldi, fama, etc etc…stavo facendo tutto questo per le ragioni che gli avevo spiegato. Una volta che ci siamo “sintonizzati” e trovati d’accordo su questo non c’era modo di fermare me o loro. Gli U2 hanno letteralmente portato un’idea molto semplice ad un livello difficile da comprendere e da raggiungere. Loro fanno le cose in grande. Pensano in grande ed hanno realizzato il mio sogno. Collegare il “mondo esterno” con Sarajevo, e cosa forse più importante hanno fatto conoscere alla gente quello che stava succedendo a Sarajevo. Non è stato facilissimo per loro trasmettere questi segnali via satellite durante i loro show, e si sono presi diverse responsabilità e critiche per averlo fatto ma col passare del tempo so che sono orgogliosi di averlo fatto. Può essere difficile con tutte le pressioni del momento capire se credere o meno in qualcosa. Loro mi hanno dato fiducia e non lo dimenticherò mai. Mi hanno incontrato una sera ed hanno rischiato molto per aiutarmi. Dalla nostra parte c’era il fatto che noi avevamo tutte le ragioni per fare quello che abbiamo fatto.
Che impressione hai avuto la prima volta che hai incontrato BONO? E riguardo gli altri membri della band?
Quando ho incontrato Bono la mia mente correva su due fronti. Primo, sapevo che stavo incontrando una rockstar, ma due, stavo pensando a come tornare a Sarajevo. Ma la cosa bella di quando incontri Bono è qualcosa che si sente raccontare da molte persone che lo hanno incontrato. Lui è presente. Ti guarda negli occhi ed è con te.
Conoscevo Bono e il resto della band da almeno 20 anni. Nel corso degli anni noi ci siamo incontrati più volte, abbiamo spesso discusso sulle nostre vite e cosi via. Loro sono delle rockstar, ma la cosa più importante è che sono persone veramente interessanti. E sono persone curiose. Ho incontrato molti musicisti, attori e personaggi famosi e non sono sempre interessanti o curiosi. Lo stile di vita può mascherare questo aspetto della mente e dell'anima. Ma la band, e coloro che li circondano, continuano ad essere degli uomini con cui condividiamo il viaggio su questo pianeta attraverso l'universo.
Penso che la musica sia la cosa che ha più senso per loro. Ma, se non fosse per la musica, non ho dubbi che sarebbero stati comunque degli uomini molto interessanti.
Pensi che sia ancora possibile fare cose di tale importanza, alla luce di quanto sta accadendo oggi nel mondo? Conosci qualcun altro che ha fatto o ancora sta facendo cose simili a quelle che hai fatto tu per il popolo bosniaco? E se si, perché il loro impegno è sconosciuto?
Non ne sono sicuro. Quello che gli U2 ed io abbiamo fatto con i satelliti era una cosa un po’ rivoluzionaria, che nessuno aveva fatto prima. Il telegiornale della sera trasmetteva molte immagini satellitari e interviste, ma nel 1993 il pubblico stava già cominciando a capire ciò che ora sappiamo per certo: che la “notizia” è la più grande fonte mondiale di intrattenimento. Quello che facevamo noi era diverso. Io volevo mostrare le persone reali, non i politici o l’esercito. Volevo dar voce alla Sarajevo nascosta al mondo e cercare di innescare una piccola fiamma di compassione nel pubblico degli show degli U2. Per risvegliare quella parte di noi che vuole saperne di più, raggiungere gli altri e aiutarli.
Penso che oggi il mondo sia diverso. Ciò che ho fatto con gli U2 si può fare oggi in tantissimi modi, con YouTube, l’I phone, Facebook e tutte le altre possibilità immediate di comunicare col mondo. Penso che la primavera araba sia stata un esempio di questo. Nello stesso tempo le informazioni sono così tante che è difficile per le persone filtrare le informazioni in un ciclo continuo di notizie durante l’intera giornata.
Io non conosco nessuno che ha fatto quello che ho fatto io, ma questo non significa che non ci sono persone che fanno cose straordinarie. Ci sono persone il cui lavoro passa inosservato, ma stanno facendo cose miracolose con la loro energia e il loro tempo. Aiutare le persone, risolvere i problemi, costruire, portare l'acqua nel deserto, insegnare alla gente come coltivare la terra, non per un anno, ma per tutta la vita…ci sono così tante persone che cercano di rendere il nostro mondo un posto migliore. E anche se ancora una volta in Siria stanno accadendo le stesse cose che accadevano in Bosnia 20 anni fa, e l'Iran è come una bomba ad orologeria, e in Europa c’è la crisi economica, io sono ottimista sul fatto che il bene vincerà il male nel lungo periodo. Devo esserlo. Ho due bambini piccoli e voglio che loro possano vedere nel mondo la bellezza che ho visto io. Pensare in un altro modo sarebbe una cosa veramente opprimente.