Intervista a Garvin Evans, il papà di The Edge
Vi riportiamo un'intervista molto interessante fatta da Giulia Zennaro a Garvin Evans, il padre di The Edge, in cui racconta il suo rapporto con il figlio "David" e con il mondo degli U2 in generale, svelandoci qualche piccola curiosità sulla personalità del chitarrista soprattutto fuori dalle scene.
Buona lettura!
A un certo punto della vita, tutti sogniamo di essere una rockstar. Ma spesso ci chiediamo che cosa siamo disposti a sacrificare per raggiungere il successo, e cos’è che ci spinge a diventare una star. Tuo figlio ha fatto tanti sacrifici per la musica? Com’era all’inizio della carriera?
David aveva già iniziato un corso di laurea in ingegneria quando fu firmato il primo contratto con la Island records. Ma quando il futuro della band fu garantito, lasciò il college e si concentrò sulla crescita degli U2. I più grandi sacrifici penso siano una certa mancanza di privacy, e un grande carico di lunghe ore di lavoro.
Non sappiamo molto della vita privata degli U2, quando cala il sipario. Di solito è il privilegio della famiglia e degli amici, che li conoscono come “persone normali”. In questo senso, come è stata la relazione tra lei, suo figlio e la musica? Ci sono canzoni che si riferiscono a momenti particolari che avete trascorso assieme?
Siamo sempre andati molto d’accordo – con tutti e tre i miei figli – da quando erano molto piccoli fino a oggi. Non abbiamo mai avuto i cosiddetti “problemi da adolescenti”, e onestamente devo dire che non ricordo di avere avuto una discussione, anche piccola – mai. Se ti sembra troppo bello per essere vero – be’, immagino siamo stati fortunati. Anche se Bono ha scritto dei testi che si riferiscono a dei particolari brutti momenti col padre, non ce ne sono che mi riguardano – per quel che ne so.
Quando la band ha iniziato a essere famosa, lei e sua moglie sarete sicuramente stati preoccupati per il futuro di vostro figlio. Quali erano i pensieri del padre di The Edge, una delle rockstar più importanti del mondo? C’era qualcosa per cui era particolarmente preoccupato?
No, non sono mai stato preoccupato per il gruppo. Hanno sempre dato l’impressione di agire in maniera sensata, tutti, e sono sempre stati troppo professionali per finire coinvolti in qualche storia di droghe, o comportamenti fuori controllo. Essere sposati e avere la responsabilità dei figli ha aiutato, probabilmente, ma hanno tutti la testa sulle spalle.
A quanti concerti è stato? Ha viaggiato molto con suo figlio? Penso ci siano stati dei momenti davvero emozionanti, come vedere ottantamila persone e pensare: «Quello sul palco è mio figlio!»
Sì, sicuramente, mia moglie e io abbiamo viaggiato tantissimo con il gruppo quando sono stati in tour, e abbiamo sempre goduto del fermento che accompagnava il tour. Molti dell’organizzazione e del personale sono stati con gli U2 per anni, in un certo senso è come una famiglia allargata. L’organizzazione che sta dietro a un tour è incredibile. Spero di andare a qualcuno dei concerti del prossimo tour. Quando vedrò l’itinerario proposto deciderò. Sono sempre molto toccato da quanti fan ha il gruppo, e l’alta considerazione che riservano loro. Dal mio punto di vista, è ben giustificata.
Sappiamo che nel 1981, in prossimità dell’October Tour, David fu sul punto di lasciare il gruppo per motivi religiosi, ma decise di rimanere. Quanto ha influito la religione nella sua vita e in quella di tutti voi?
Di sicuro Bono e The Edge, in particolare, hanno una fede cristiana molto forte, e ne sono consapevoli in tutto quello che fanno. C’è stata una crisi nel periodo cui hai fatto riferimento, riguardo la relazione tra il gruppo e i principi religiosi di Bono e The Edge. Non ho mai chiesto direttamente informazioni, perché la considero una questione di coscienza di natura strettamente privata. Hanno risolto la difficoltà che avevano e sono andati avanti. Sono molto legato alla mia fede cristiana, come lo era mia moglie, e forse questo può avere indirizzato in qualche modo David.
Sappiamo che David Evans ha ricevuto lezioni di chitarra assieme a suo fratello Richard, prima che entrambi rispondessero a un annuncio a scuola, in cui si cercavano dei musicisti per formare una band. Questa band ha cambiato diverse formazioni prima di diventare gli U2 nel marzo del 1978. Richard lasciò il gruppo appena prima del cambio di nome: ha mai avuto qualche rimpianto? Quando siete tutti insieme a Natale, parlate mai di quello che è successo?
Richard è un accademico. Fu coinvolto nel gruppo come un hobby, all’inizio, e più tardi si unì a un altro gruppo chiamato The Virgin Prunes. Non ho mai parlato con Richard dei suoi sentimenti riguardo l’aver abbandonato gli U2: era immerso nel suo corso di scienze informatiche quando il gruppo decollò. Poi ha intrapreso un dottorato in ingegneria all’Imperial College di Londra (che fu la mia università), e continua a lavorare in quel campo. Penso sia poco utile perdersi nei “cosa avrebbe potuto essere”: trovo le varie congetture da “e se” prive di senso.
Andare avanti con la propria vita, e cercare di fare del proprio meglio, credo sia la maniera migliore di vivere per quel che mi riguarda.
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